27 aprile 2019

Cassazione penale, sezione I, sentenza 27 marzo 2019, n. 13363


SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ________________________________

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:


_________, nato a _________________;

avverso la sentenza del 03/11/2017 del TRIBUNALE di LANCIANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott._____________________________;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, Dott.ssa ____________________, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio per riconoscimento art. 131 bis.

Svolgimento del processo
1. __________ ricorre avverso la sentenza del Tribunale di Lanciano del 3 novembre 2017, con la quale è stato condannato alla pena di Euro 200,00 di ammenda, in ordine al delitto di molestia e disturbo alle persone, ai sensi dell'art. 660 c.p., perchè, per mezzo del telefono e per biasimevole motivo, recava molestia a ______________., effettuando numerosissime telefonate, di giorno e di notte, molte delle quali pervenivano sul cellulare della stessa e risultavano "mute" e anonime. Fatto accertato in (OMISSIS).

2. Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che l'imputato, che aveva già riportato condanne penali per fatti analoghi, era stato identificato grazie all'acquisizione dei tabulati della persona offesa, la quale impaurita aveva denunciato in modo preciso gli orari in cui erano pervenute le telefonate moleste al proprio cellulare. Gli squilli reiterati e le telefonate, pur essendo mute, avevano creato turbamento emotivo nella persona offesa. Per il giudice di merito, _____________, infatti, aveva reso una dettagliata testimonianza, manifestando uno stato di "sofferenza" anche nel corso della deposizione.

3. Denuncia il ricorrente illogicità della motivazione in presenza di elementi trascurati dal giudicante, nonchè violazione e falsa applicazione dell'art. 660 c.p., perchè il Tribunale non avrebbe considerato che, dalla lettura della deposizione testimoniale della persona offesa, non si evince un'interferenza nella sua libertà, nè alcuna mutazione delle sue condizioni di vita conseguente alla ricezione delle telefonate. Non risulterebbe, altrimenti, la prova di un grave disagio psichico o di un giustificato timore per la propria sicurezza, come richiesto dall'art. 660 c.p..

Il ricorrente lamenta, altresì, il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131 bis c.p., essendo stato dimostrato che i contatti telefonici erano consistiti in un mero scherzo tra amici, circostanza che sarebbe stata confermata dalla stessa persona offesa nel corso della deposizione.

Motivi della decisione
1. Giova premettere che il reato di molestie o di disturbo alla persona mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l'offesa alla quiete privata. Pertanto, rispetto alla contravvenzione in discorso, viene in considerazione l'ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata; onde l'interesse privato individuale riceve una protezione soltanto riflessa, cosicchè la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate (Sez. 1, n. 32165 del 27/06/2014, Terzi, Rv. 261234).

Il reato in oggetto consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, interferendo nell'altrui vita privata e nell'altrui vita di relazione (Sez. 1, n. 8198 del 19/01/2006, Paolini, Rv. 233438).

In particolare, ai fini della sussistenza del reato de quo, gli intenti scherzosi o persecutori dell'agente sono del tutto irrilevanti, una volta che si sia accertato che, comunque, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso è connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone.

2. La Corte ritiene infondato il ricorso, perchè il giudice di merito, indipendentemente dalle affermazioni della persona offesa che si era tranquillizzata dopo aver scoperto - grazie alle indagini di polizia giudiziaria svolte - l'identità dell'autore del fatto, ha evidenziato il persistente turbamento della stessa persona offesa da ________________, per le modalità della condotta posta in essere, consistita in telefonate mute e anonime, effettuate anche in tempo di notte sulla sua utenza telefonica.

Sicchè, correttamente il Tribunale ha fatto applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, per i quali anche i semplici squilli, se idonei a cagionare un turbamento o una molestia, integrano il reato contestato ed ha coerentemente disatteso la richiesta di applicazione dell'art. 131 bis c.p., evidenziando il numero delle telefonate e degli squilli accertati sulla base dei tabulati, lo stato di sofferenza della vittima, manifestato anche durante la deposizione in aula e soprattutto che il condannato "non è nuovo a simili fatti", così prendendo atto che non ricorre il caso di particolare tenuità di cui all'art. 131 bis c.p., che può essere ravvisato solo quando il comportamento non è abituale e non è stato posto in essere con condotte plurime, abituali e reiterate.

3. Alla luce di quanto sopra, il ricorso appare infondato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell'art. 616 c.p.p..

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2019

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