27 aprile 2019

Squilli e telefonate mute integrano un reato? La Cassazione fa il punto

Telefonate mute, squilli anonimi e ripetuti possono configurare il reato di molestie ai sensi dell'art. 660 c.p.

Art. 660. (Molestia o disturbo alle persone) 

Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo e' punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a lire cinquemila.

L'art. 660 punisce il fatto di chi rechi a taluno molestia o disturbo, per petulanza o biasimevole motivo, in luogo pubblico o aperto al pubblico o con il mezzo del telefono. 
Molestia è ogni attività che alteri dolorosamente o fastidiosamente l'equilibrio psico-fisico normale di una persona. 
La Cassazione ha chiarito che ai fini della sussistenza del reato, gli intenti scherzosi o persecutori dell'agente sono del tutto irrilevanti, una volta accertato che a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso è connotato dalla caratteristica della petulanza (pressanti, ripetitivi, insistenti, indiscrete e impertinenti) tali da interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone.

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