2 maggio 2014

Danno tanatologico. Un cambio di rotta della Giurisprudenza

danno tanatologico

 Il danno non patrimoniale è sempre stato un danno difficile che, nel tempo, ha subito mutamenti  che hanno capovolto gli orientamenti giurispridenziali. In particolare,
il danno tanatologico, che consiste nelle conseguenze patite dalla vittima a causa di un illecito da parte di un terzo, per molto tempo è stato ritenuto non risarcibile nella sua accezione di danno da morte puro, mentre si è ritenuto meritevole di ristoro, i riflessi morali che possono patire gli eredi della vittima. E’ quanto si legge nelle famose sentenze gemelle della Cassazione in S.U. (26972/2008;26973/2008) le quali, dopo aver distinto nettamente il danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. dal danno non patrimoniale 2059 c.c., hanno definito le varie categorie di danno biologico, danno per morte, danno esistenziale ecc., stabilendo così la risarcibilità dei danni morali agli eredi, ove sussista effettivamente un pregiudizio.
Recentissimo, invece, lo slancio giursisprudenziale verso un orientamento meno restrittivo.
 La Cassazione ha statuito che la risarcibilità del danno da morte, è riconosciuto  agli eredi della vittima anche se la morte sia stata immediata, senza più il necessario patimento da parte della vittima (Cass. Civ. sentenza n. 1361/2014). In sostanza, non è più elemento indefettibile ai fini risarcitori, il trascorrere di un lasso di tempo apprezzabile in termini di sofferenza da parte della vittima. Già prima di questa inversione giurisprudenziale, vi era una parte della dottrina, benchè minoritaria, che propugnava la tesi a favore della risarcibilità del danno da morte immediato.
La base sulla quale si difendeva la tesi in parola, era l’ irragionevolezza di ristorare lesioni, anche lievi, in nome del diritto alla salute e negarlo invece al diritto alla vita, che risulta essere, di certo, il più importante tra i diritti.
Con l’ordinanza n. 5056 del 4 marzo 2014, la Cass. Civ., Sez. III (in relazione al caso di un decesso avvenuto 3 ore dopo un sinistro stradale), aderendo all’orientamento favorevole al danno da morte immediato,  ha deciso di investire, in subiecta materia, le S.U. con l’auspicio che si riesca a dipanare la difficile matassa del danno tanatologico.
Al momento, le novità più rilevanti quindi appaiono essere le seguenti: il diritto da perdita di vita è un danno in re ipsa, una categoria a sé rispetto al danno esistenziale, al danno catastrofico, al danno biologico; il diritto al ristoro si acquisisce dalla vittima immediatamente, al momento della lesione mortale, quindi anteriormente all’esito, in pieno contrasto con la tesi ormai consolidata della risarcibilità del danno-conseguenza (c.d nesso di causalità giuridico) e che deve essere intesa come eccezione alla regola; in termini di liquidazione, il danno de quo, non essendo contemplato nelle Tabelle del Tribunale di Milano, è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito.
Per la Corte, infatti “la perdita della vita non può lasciarsi, invero, priva di tutela civilistica, poiché il diritto alla vita è altro e diverso dal diritto alla salute, così che la sua risarcibilità costituisce realtà ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità dei soli danni conseguenza".


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